Jamie Dimon for President? Lui smentisce. Ma incontra i democratici moderati
Alto profilo
E a Dimon non difetta l’alto profilo. Quest’anno ha ancora una volta giocato un ruolo cruciale da gran salvatore della finanza: il rischio di debacle delle banche regionali. Miliardario e uomo d’affari, guida JP Morgan dal 2005, il top executive più longevo nel settore è intervento due volte nel caso First Republic Bank, in coordinamento con il governo: prima ha guidato una cordata di istituti che ha depositato 30 miliardi nella banca per tamponare la fuga di depositi. Poi, quando questo non è bastato, ha rilevato direttamente gran parte delle sue attività, con la garanzia delle authority di coprire potenziali perdite.
Deja vu
E’ un ruolo che Dimon aveva oltretutto già svolto nella passata grande crisi finanziaria del 2008. Allora aveva rilevato due colossi al cuore del terremoto, Bear Stearns e Washington Mutual. Aveva poi espresso qualche rimorso, affermando quanto fosse stato complesso assorbire quelle aziende. Ma ciò non gli ha impedito di tornare alla ribalta nei panni di cavaliere bianco del sistema. Con un interesse, sottolineano i più: JP Morgan si conferma e rafforza nel ruolo leader, di più grande e influente banca statunitense.
Un nuovo John Pierpoint?
E’ una posizione, quella di Dimon, che ha radici nella storia e forse la ripete. Il leggendario finanziere John Pierpoint Morgan, che diede nome e natali al gruppo, a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo capitanò il consolidamento e modernizzazione industriale del Paese, dall’acciaio all’energia elettrica. E prese di petto la grande crisi passata alla storia come il panico del 1907, una spirale di manipolazioni dei mercati, New York Stock Exchange che dimezzò il suo valore, fughe dalle banche e grave recessione: organizzò una coalizione della finanza che si incaricò di fatto di salvare il sistema monetario americano dallo spettro di un vero e proprio collasso. E’ da allora, concordano molti storici e esperti, che il leader di un singolo gruppo può vantare un simile influenza sul sistema finanziario, con cappello da statista. Fino, appunto, a Jamie Dimon.
Dalla Grecia a New York
Ma chi è Dimon? Ha superato un tumore alla gola nel 2014 e un intervento d’emergenza al cuore nel 2020. Il suo patrimonio è stimato in almeno 1,8 miliardi, nell’elite degli amministratore delegati di banche davvero miliardari. Nato a New York, da una famiglia di broker azionari con radici greche (nome originale Papademetriou), ottenne una laurea di psicologia e economia alla Tufts University uno dei suoi lavori, sui merger della finanziaria Shearson, finì sul desk di Sandy Weill, che lo assunse per un’estate, un rapporto che sarebbe fiorito in anni successivi. Dopo la laurea lavorò per Boston Consulting e poi entrò alla Harvard Business School. Nelle pause del programma lavorò a Goldman Sachs e nel 1982 ricevette il suo Mba. Fu allora che Weill lo convinse ad accettare meno soldi da Wall Street peer unirsi a lui ad American Express con promesse di una carriera più interessante.
La partnership con Weill
Quando Weill lasciò Amex nel 1985, Dimon lo seguì in varie avventure, diventando direttore finanziario a 30 anni della Commercial Credit che Weill aveva rilevato. Assieme, con una serie di fusioni, diedero di fatto vita a Citigroup. Dimon lasciò però nel 1998 dopo un apparente scontro con Weill, tra voci che avrebbe resistito una promozione della figlia del finanziere. Dimon era però solo agli inizi. Nel 2020 divenne Ceo di Bank One, la quinta banca americana, e quando JP Morgan si fuse con queste nel 2004 fu direttore operativo e generale del nuovo gruppo. Un anno dopo era Ceo e nel 2006 anche presidente. JP Morgan era già grande, con 1.100 miliardi in asset e il 10% dei depositi nel Paese, con una trattoria di crescita e acquisizioni di decine di società finanziarie (e non solo) minori lo divenne sempre più.